Afeni Shakur: il ricordo di una donna straordinaria
Oggi se ne va la madre di uno dei rapper più amati e carismatici di tutti i tempi, nonché un’autentica leggenda della storia sociale degli Stati Uniti d’America: a 69 anni, Afeni Shakur (nata Williams) si è ricongiunta con suo figlio Tupac, a causa di un non meglio specificato arresto cardiaco.
La vita di Afeni è stata un’odissea silenziosa, frustrante ma cinica e piena di determinazione, impregnata di quelle contraddizioni e di quello spirito d’iniziativa che l’hanno portata ad essere una figura centrale del movimento sorto sulle ceneri della lotta per i diritti civili di Malcolm X, il famoso e famigerato Black Panther Party.
Il suo rapporto con la lotta e la ricerca della giustizia avrebbero successivamente influenzato in maniera enorme Tupac, il quale – per tutto il corso della sua breve carriera artistica – non avrebbe mai dimenticato di citare la madre, quale musa ispiratrice dei sentimenti più empatici nei confronti della sua gente, quella afroamericana, imbrigliata in una guerra contro la disuguaglianza sociale di cui il rapper di East Harlem si sarebbe fatto grande portavoce, fino ai confini dell’attivismo politico.
Ed è proprio attraverso l’attivismo politico che Afeni, per i primi trent’anni della sua esistenza, avrebbe mostrato all’intera America l’incrollabile forza spirituale di cui era capace una donna nera, nonostante le mille difficoltà per il colore della sua pelle ed il sessismo che, nonostante tutto, serpeggiava anche tra le Pantere Nere stesse.
Celebri furono i suoi sermoni nelle università di tutto il paese, specialmente sulla costa atlantica, durante i quali, con un tono che ricordava quasi quello di un uomo, la giovane Shakur prestava la sua dialettica a monologhi riguardanti temi particolarmente spinosi, come la brutalità della polizia ed il segregazionismo, che negli anni ’70 – e per almeno tutto il ventennio successivo – avrebbero fatto degli Stati Uniti una sorta di enorme campo di concentramento, nel quale i neri erano di fatto esclusi da ogni ambito della vita sociale (in alcuni stati, addirittura, non gli era ancora nemmeno permesso di andare a votare), nonché massacrati senza il rischio di conseguenze legali da parte delle forze dell’ordine (poiché difese da un sistema giuridico accondiscendente).
L’evento che rese Afeni celebre a livello nazionale, tuttavia, fu il processo che la vide coinvolta – insieme ad altri ventuno membri del BPP – per una fantomatica accusa di terrorismo interno, denominato “Panther 21”.
Il caso “Panther 21”, durato dal 1969 al 1971, potrebbe riassumersi semplicemente come una delle pagine più vergognose della storia americana, attraverso il quale l’assurdo programma di controspionaggio avviato già negli anni ’50 dall’FBI, denominato COINTELPRO, ebbe modo di manifestarsi in tutti i suoi aspetti più scabrosi, rivelando alla collettività quale incredibile macchina del fango fosse stata promossa dal Governo (allora guidato dal repubblicano Richard Nixon) per distruggere le Pantere Nere, considerate una minaccia alla sicurezza nazionale per le loro idee di liberazione della comunità afroamericana dalle catene del razzismo a stelle e strisce, di chiara discendenza schiavista.
In sostanza, i ventuno membri delle Pantere – tra cui figurava anche Afeni, appunto – furono accusati da una corte di New York di aver progettato alcuni attacchi dinamitardi che avrebbero dovuto far esplodere alcune sedi istituzionali della città, tra cui un paio di stazioni di polizia di Manhattan e del Bronx ed un ufficio del Dipartimento dell’Istruzione, situato nel Queens.
In realtà, quei fantomatici attacchi erano stati orchestrati a regola d’arte dalla stessa FBI, la quale era soltanto alla disperata ricerca di un modo efficace per annientare la fazione newyorkese del Black Panther Party, dopo aver già decimato la leadership del movimento negli altri due punti nevralgici del paese, ad Oakland e a Chicago.
Grazie alla caparbietà degli imputati, tuttavia, il processo si concluse in un nulla di fatto: scegliendo di rappresentare se stessa in aula, senza l’aiuto di alcun legale, Afeni riuscì a scrollarsi di dosso ognuno dei 156 capi d’imputazione e a farsi prosciogliere in via definitiva dal giudice Charles Marks, il 12 maggio 1971, soltanto un mese prima di dare alla luce Tupac.
Tupac non avrebbe mai dimenticato questo episodio cruciale della vita di sua madre, così come non avrebbe mai dimenticato gli ammirevoli sforzi della donna per crescere i suoi figli nel modo più sano possibile (il rapper aveva anche una sorella, Sekyiwa), nonostante il padre biologico dei pargoli, Billy Garland, fosse totalmente assente ed il loro patrigno, Mutulu Shakur, non avesse tempo da dedicare alla famiglia (fu per diverso tempo nella lista dei “Ten Most Wanted Fugitives” della FBI e fu messo in carcere nel 1986, dove si trova tutt’ora).
A questo quadretto, non certo idilliaco, vanno aggiunti i problemi causati dalla militanza nel BPP di Afeni (che la costrinsero a spostarsi di continuo, da Baltimora a Marin City, in California), dalla povertà (la presidenza di Ronald Reagan, negli anni ’80, aveva prosciugato le casse della previdenza sociale) e dalla dipendenza dal crack, nella quale la donna era caduta dopo la dissoluzione delle Pantere Nere, avvenuta ufficialmente nel 1982.
Dopo la tragica scomparsa di Tupac, nel settembre del 1996, Afeni riesumò lo spirito guerriero che aveva caratterizzato i suoi anni giovanili e si lanciò in una spietata campagna per il controllo sui nastri inediti del figlio, con lo scopo di non permettere alla Death Row Records di Suge Knight di speculare sulla tragedia, dando in pasto al pubblico una serie di prodotti postumi che, di fatto, avrebbero soltanto ingrassato le casse della label, la quale, in quel periodo, si trovava all’apice della sua potenza economica.
Dopo un conflitto durato un paio d’anni, nel 1998, Afeni uscì nuovamente dal tribunale con un verdetto a suo favore, e costituì una casa discografica di sua proprietà, denominata Amaru Entertainment, che si sarebbe occupata di pubblicare l’enorme quantità di canzoni inedite che Tupac firmò nell’ultimissimo periodo della sua vita.
Oltre ai diritti sulle centinaia di canzoni inedite, Afeni ottenne anche un cospicuo risarcimento per aver dimostrato che la Death Row aveva deliberatamente sottratto a Tupac gran parte dei suoi guadagni effettivi e l’accesso diretto alle royalties sui dischi che l’artista pubblicò, ad inizio carriera, per la Interscope di Jimmy Iovine e Ted Field (“2Pacalypse Now”, “Strictly 4 My N.I.G.G.A.Z”, “Thug Life Vol. 1” e “Me Against the World”).
Nell’immaginario collettivo, comunque, la figura di Afeni Shakur resterà sempre legata alla splendida canzone d’amore che il figlio le dedicò nel 1995, nona traccia di dell’acclamato “Me Against the World”, intitolata “Dear Mama”.
Ed è proprio con le parole di questa canzone che vogliamo chiudere questo articolo celebrativo, probabilmente il modo migliore per ricordare una grande donna, una tenace attivista, un’eroina urbana ma, soprattutto, una madre speciale:
“And there’s no way I can pay you back, but my plan is to show you that I understand: you are appreciated”.
Rest In Peace, Afeni.
Claudio Spagnuolo aka Klaus Bundy